Il “Carbonara Day” è una festa, non ufficiale, che il 6 Aprile celebra il piatto di pasta preparato con la ricetta della “Carbonara” famosa in tutto il mondo.
Le sue origini si perdono nella storia, di sicuro non è mai stata codificata prima degli inizi del secolo scorso. Per questo ogni racconto può andare bene, come quello che la vede nascere tra i carbonari, da cui il nome, -quelli delle società segrete dell’Ottocento- o i pastori, che mettevano insieme uova, guanciale e pecorino, una pratica che contiene sicuramente una verità: erano ingredienti semplici e facilmente trasportabili o reperibili, di sicuro qualcuno nel tempo avrà pensato di cuocerli in un tegame per condirci della pasta.
Ma la sua trasformazione da piatto improvvisato a mito mondiale si deve al momento in cui le truppe angloamericane arrivarono a “Roma città aperta”. Dal loro preparato a base di uova e bacon mescolato al pecorino e finito sui piatti di pasta, rimasero, giustamente, colpiti, portando con sé la ricetta e diffondendola nel mondo. Il fascino delle origini segrete, la facilità di esecuzione, l’inconfondibile gusto, oltre alla sua versatilità e possibilità di adattamento -esistono purtroppo una immensa quantità di sgrammaticate rielaborazioni- e, storia dei nostri giorni, la presenza sui social media, l’hanno trasformata in un piatto iconico della cucina tradizionale italiana.
Ma la strada per arrivare alla ricetta attuale riconosciuta come la “vera Carbonara” romana a base di uova, guanciale, pecorino e pepe, è ricca di usi e interpretazioni singolari, molti dei quali fanno inorridire: negli anni ’50 si vocifera di aggiunta di aglio e gruviera, e qualche ristorante la preparava con prosciutto, o pancetta, ripassava nel burro e versava sulla pasta con l’uovo appena raggrumato. Altri aggiungevano champignon tagliati sottili, mentre negli anni ’60 appare con la regina dei nuovi piatti, protagonista per quasi un ventennio sulle nostre tavole: la panna. Poi siamo arrivati noi che, studenti e con appetiti insaziabili, ci dilettavamo in cucina mescolando tutto quanto ci fosse a portata di mano. E così, la Carbonara, una delle ricette romane “ma anche no”, è diventata tanto famosa da offuscare piatti con molta più storia. Ma ci piace lo stesso.
Per tornare alla nostra festeggiata, che comunque prendiamo molto sul serio, e alla sua storia, tanto ci può dire Arcangelo Dandini, patron del Ristorante L’Arcangelo, e cultore della tradizione del suo territorio, quarta generazione di una stirpe di ristoratori romani e “castellani”. Da grande appassionato scevro da esaltazioni folcloristiche, “per me il Carbonara Day è tutto l’anno” Arcangelo conserva la memoria storica e gli aneddoti tramandati da nonna Dandini. Lei, professionista che leggeva Escoffier e i miti della cucina del suo periodo, e aveva aperto ristorante a Roccapriora (sui Colli Albani), raccontava dell’imbarazzo di dover rispondere a clienti romani che chiedevano “un piatto di Carbonara” di non aver idea di cosa parlassero. Succedeva dopo gli anni ’40 del secolo scorso, quando erano appena passati gli americani. Poi la nonna ha recuperato la ricetta che prevedevano l’uso di uova intere, guanciale, pecorino e pepe, e l’ha fatta sua. Anche Arcangelo ci ha lavorato su parecchio, e quel condimento che inizialmente poteva risultare anche un po’ “frittatoso” è diventato una crema sempre più soffice, un manto cremoso ricco di gusto e di leggerezza. “Nella mia Carbonara uso solo il tuorlo e ho tolto l’albume -dice Arcangelo- per dare più sofficità al composto, ma soprattutto, e grazie a mia nonna che mi ha arricchito con le sue conoscenze, sono arrivato a formulare una mia ricetta originale che non prevede l’uso del pepe. Questo perché le truppe angloamericane che provenivano dal Tirreno, attraversando le campagne del centro Italia hanno sicuramente conosciuto il pecorino e il guanciale che veniva affumicato per essere conservato. Il pepe non c’era. La stagionatura con pepe e sale è successiva”. Un lavoro di ricerca e di sublimazione, un racconto per ricollocare un piatto divenuto internazionale, dandogli però in una dimensione storica con radici reali, molto più verosimile di tante elucubrazioni “carbonare”.
Anche Alessandro Pipero, padron e maître del ristorante Pipero Roma, è famoso per la sua Carbonara, ma è critico sulla ricorrenza, perché come lui stesso dice “è uno dei grandi piatti della cucina romana, ma si comincia a parlarne troppo. A volte si esagera con queste esibizioni: perché non viene istituito, ad esempio, un Pasta con le vongole Day? Il rischio è che questa commercializzazione dell’evento possa portare alla banalizzazione di un piatto che ci appartiene e che merita tutto il nostro rispetto”. Figura famosa dell’ambiente romano, ha lavorato per molti anni in sala a Labìco con Antonello Colonna, si è prima messo in proprio e poi trasferito a Roma nel 2011. La sua Carbonara ha una ricetta codificata per cui “deve venire sempre bene ma soprattutto essere sempre buona”. Tradizionalista, usa guanciale e pecorino con aggiunta di un po’ di parmigiano per ammorbidire il gusto, rosso d’uovo mantecato in ciotola d’acciaio e pepe. “Per me la Carbonara deve essere molto classica, quella che i clienti si aspettano in un ristorante gourmet, elegante, che possa accompagnare anche gli altri piatti che proponiamo”.
Insomma, un piatto romano si, ci fa piacere dirlo, ma origini e percorso sono molto fluidi. Oggi sappiamo (quasi) con certezza come si prepara. Domani chissà.
Rosanna Ferraro
Giornalista, Sommelier, ha lavorato al Gambero Rosso per oltre 10 anni come giornalista, degustatrice per la Guida ai Vini d’Italia, autore e regista dei servizi televisivi per il Gambero Rosso Channel, autore di libri su vino, cucina e turismo. Ha partecipato al progetto di rilancio del brand Franciacorta e nel 2006 ha fondato Vinotype, un’agenzia di comunicazione specializzata per le Aziende vitivinicole. Nel 2010 ha lanciato il magazine on line Vinotype.it.