Salealto 2018 Cusumano. Il vino che Re Ferdinando non poteva bere / di Andrea Gabbrielli

Il nuovo vino dei fratelli Cusumano, Salealto 2018, nasce nei vigneti della Tenuta Ficuzza, a Piana degli Albanesi (Palermo), in una storica zona della vitivinicoltura siciliana, cuore dell’area culturale arbëreshë, la minoranza etno-linguistica albanese d’Italia. Si tratta di contesto molto ricco di suggestioni e di vicende spesso dimenticate.

Culture che s’incontrano
L’area è situata poco più di 25 chilometri a sud est di Palermo, in un paesaggio tipicamente appenninico, con montagne che arrivano oltre i 1.300 metri e boschi di querce, castagni, lecci, sugheri. Piana degli Albanesi (Hora e Arbëreshëvet), 740 metri sul livello del mare, è il centro più antico e con oltre 6.000 abitanti, anche il più popolato. Arrivati qui dal 1468, subito dopo la morte dell’eroe nazionale Giorgio Castriota Scanderbeg, da secoli sono perfettamente integrati nel territorio che rappresenta il cuore della cultura arbëreshë siciliana. In queste terre la minoranza linguistica albanese tuttora mantiene vive le tradizioni e i riti religiosi (greco-bizantini) e anche le usanze gastronomiche. Una minoranza che ha sempre partecipato attivamente alla vita politica, sociale, culturale del nostro Paese, esprimendo personalità come Francesco Crispi (1818 – 1901) deputato, ministro e presidente del Consiglio oppure in tempi più recenti, il giurista e deputato Stefano Rodotà (1933- 2017), entrambi di origine arbëreshë. La partecipazione alla vita pubblica ha una lunga storia e abbraccia diversi ambiti. I Fasci siciliani dei lavoratori (Dhomatet e gjindevet çë shërbejën), ad esempio, che si svilupparono dal 1891 al 1894, furono caratterizzati da un’importante partecipazione femminile.
Piana è tristemente nota per il massacro in contrada Portella della Ginestra (1° maggio 1947), prima strage dell’Italia repubblicana durante la quale ben 7, degli 11 assassinati dai mafiosi guidati dal bandito Salvatore Giuliano, erano arbëreshë.  A poca distanza (4,4 km), Santa Cristina Gela (Sëndahstina) è un altro centro di cultura albanese dove vivono un migliaio di abitanti. Situata a 670 metri sul livello del mare, gode di spazi aperti, di campagne e di vigneti, sullo sfondo delle montagne. Qui d’inverno la neve non manca mai di imbiancare i campi mentre la piovosità alimenta le falde acquifere che tanto contribuiscono a rendere verde il paesaggio circostante. Le giornate sono sempre ventilate e di notte l’escursione termica, specialmente in estate, è molto forte (10-15 °C)  da richiedere una felpa bella spessa o in inverno, un giaccone pesante. Contessa Entellina (Kundisa) è un’altra piccola comunità dove la presenza albanese, seppur diluita nel corso del tempo, si avverte ancora. La produzione e la tradizione vinicola dell’intera area arbëreshë, tuttora continua.

Rudimenti di una nuova enologia
Alla fine del Settecento, inizi dell’Ottocento Re Ferdinando di Borbone (che in quegli anni aveva assunto il titolo di Ferdinando IV del Regno di Napoli) si affidò, per risollevare le sorti dell’agricoltura locale, al cav. Felice Lioy, un nobile illuminato -ed illuminista- esperto di agronomia e aperto alle novità dei Paesi più avanzati, allora intendente della palermitana Commenda della Magione. Sull’onda del grande successo che il vino trapanese – Marsala – stava ottenendo, Lioy avviò con grande lungimiranza una completa revisione dei protocolli enologici e viticoli. A lui vengono affidati i feudi nei territori di Baida, di Santa Maria, di Palazzo Adriano, di Partinico e Colomba, di Prizzi e i feudi Lupo e Ficuzza (questi ultimi poi accorpati nell’unico Sito del Real Bosco della Ficuzza). Questo processo di ammodernamento culminò con la costruzione della Real Cantina Borbonica di Partinico, un stabilimento enologico, abbastanza unico nel panorama siciliano, per soluzioni tecniche adottate. Scriveva Lioy in “Memoria sulla manipolazione dei vini” che «trovai al mio arrivo in Sicilia nel 1789 il vino di Prizzi e quello di Palazzo Adriano impotabile, da maggio in poi aceto guasto o per meglio dire una composizione meravigliosa di cattivi odori e sapori». Il motivo era che il più delle volte il vino veniva vinificato e conservato in botti «che sanno per lo più di muffa» e tini che «formano una quintessenza stomachevole e nauseosa». Tra le innovazioni introdotte, la scelta e la separazione delle uve bianche e rosse in vendemmia, l’introduzione della diraspatura, la vinificazione subito dopo la raccolta,  l’impiego del mosto fiore, la pulizia delle botti e altro ancora.

Un vino ispirato dalla storia
«Questa storia (di Ferdinando, di Lioy e della Cantina Borbonica. ndr) ha alimentato la nostra curiosità» racconta Diego Cusumano, titolare, con il fratello Alberto, della cantina siciliana. «Come poteva essere il vino del Re? La composizione non è documentata, ma abbiamo immaginato: uve indigene, un unico Terroir, maturazione sulle fecce fini sino alla vendemmia successiva (in quanto le botti sarebbero servite per la nuova annata). Così, dopo qualche anno di sperimentazione è nato Salealto, un “vin du Terroir” di Ficuzza, ottenuto da inzolia, grillo e zibibbo in parti uguali, vinificati separatamente poi affinati insieme». Il progetto è stato portato avanti insieme all’enologo Mario Ronco, consulente dell’azienda.

Ma Re Ferdinando e Felice Lioy potevano conoscere il grillo in quegli anni?
Non è in discussione la scelta dei tre vitigni dei fratelli Cusumano, frutto di una loro libera interpretazione. Se però all’epoca possiamo dare per certa l’esistenza dell’insolia e dello zibibbo altrettanto non possiamo dire del grillo. Infatti Re Ferdinando di Borbone (Napoli, 12 gennaio 1751 – Napoli, 4 gennaio 1825) e Felice Lioy (Terlizzi, 9 aprile 1743 – Vicenza, 3 gennaio 1826) sono entrambi scomparsi molto prima della nascita del grillo perché la prima menzione sembra risalire al 1873 (A. Alagna-Spanò) e successivamente in una relazione tenuta da Abele Damiani nel 1885 sulla viticoltura dell’area di Trapani. L’atto di nascita del grillo, caso più unico che raro quando si parla di uve, è documentata da una nota stilata dal barone Antonino Mendola di Favara, agronomo e ampelografo di fama europea che nel 1874  “seme di Catarratto bianco fecondato artificialmente col Zibibbo nella fioritura del 1869 nel mio vigneto Piana dei Peri presso Favara; raccolto a 27 agosto dello stesso anno; seminato in vaso a 3 marzo 1870 e nato verso il 20 maggio… così ebbi il piacere di gustarne i primi grappoli nell’autunno 1874. Dedico questa pianta al chiariss. Ing. G. B. Cerletti, direttore (…) della Stazione Enologica di Gattinara”. Successivamente alcuni studi molecolari hanno dimostrato che il grillo è frutto di un incrocio tra catarratto bianco e zibibbo o moscato di Alessandria (Di Vecchi Staraz et al., 2007, De Lorenzis et al., in litteris). Per questo né Re Ferdinando né Lioy nel 1800/1826 potevano bere un vino che prevedesse l’impiego dell’uva grillo perché quest’ultima sarebbe stata creata solo una quarantina di anni dopo la loro morte.

Il Salealto
Il Salealto 2018 è un IGT Terre Siciliane che nasce dai vigneti della Tenuta Ficuzza, situati tra i 700/800 metri di altitudine e per questo ha un carattere montanaro e mediterraneo, allo stesso tempo. Qui con una densità di 5.000 piante/ha e una resa produttiva di 60 quintali/ha, sono allevate le uve insolia (1/3), zibibbo (1/3), grillo (1/3) che lo compongono. Raccolte manualmente in cassetta, subiscono la macerazione in pressa a temperatura ambiente e successivo illimpidimento statico. Fermentazione, con i lieviti indigeni, in acciaio a 20°C, travaso e assemblaggio dei vini. La permanenza sulle fecce fini dura circa 10 mesi a cui poi segue l’affinamento in bottiglia prima dell’immissione al consumo. L’azienda aderisce al protocollo di SOStain, il programma di sostenibilità per la vitivinicoltura siciliana, patrocinato dal Ministero delle Politiche Agricole e riconosciuto dal Ministero dell’Ambiente attraverso il progetto di sostenibilità V.I.V.A.

La degustazione
Il vino, prodotto in 5.000 bottiglie, ha un colore paglierino marcato e un ampio aromatico ventaglio di profumi in cui si avverte la caratterizzazione dovuta alla presenza dello zibibbo. Note di salvia e di rosa vive e intense. In bocca la sapidità accentuata a cui si riferisce il nome Salealto è chiaramente avvertibile così come la freschezza. E’ secco, strutturato e lungamente persistente, con un gradevole sensazione amarognola. In fin di bocca si avverte nuovamente lo speziato dello zibibbo.
Euro 39,00 in enoteca

Il vino è stato presentato dall’azienda Cusumano lo scorso 21 aprile durante una conferenza stampa sulla piattaforma Zoom.

Andrea Gabbrielli, romano, giornalista e scrittore, dal 1989 è stato caporedattore della guida Vini d’Italia e dal 1992 caposervizio del mensile Gambero Rosso. Dal 1996 è libero professionista. Nel 1990 ha vinto il Premio Internazionale Barbi Colombini, nel 2012 il Premio giornalistico Terre del Nero di Troia, nel 2014 il Premio giornalistico Rieti Cuore Piccante, nel 2018 l’Etna Wine Award e il Premio Internazionale Casato Prime Donne, sezione Io e Montalcino. E’ giurato nei concorsi internazionali Mondial de Bruxelles e Mundus Vini. Collabora con le più importanti testate enogastronomiche – tra cui il Gambero Rosso e il settimanale Tre Bicchieri – per cui svolge servizi in Italia e all’estero. Tra le sue pubblicazioni: Pierluigi Talenti – L’altro Brunello (Veronelli editore); Gianni Masciarelli – Un vignaiolo a modo suo (Veronellieditore); Il Vino e il Mare-Guida alla vite difficile delle piccole isole (2011 – Iacobelli Editore).

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Romano, giornalista e scrittore, dal 1989 è stato caporedattore della guida Vini d’Italia e dal 1992 caposervizio del mensile Gambero Rosso. Dal 1996 è libero professionista. Vincitore di vari premi giornalistici nazionali e internazionali, autore di libri e trasmissioni televisive, è giurato nei concorsi internazionali Mondial de Bruxelles e Mundus Vini.

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