Colli Berici, i vini che non invecchiano

Cantina Pegoraro

La città di Vicenza, circondata dalle colline e dai monti Lessini, è adagiata su una pianura a metà strada tra Padova e Verona. Qui nella campagna i prati sono verdi e rigogliosi, il sole fa brillare gli olivi, componente imprescindibile dell’armonia del paesaggio insieme ai vigneti, ai ciliegi, ai fichi, ai gelsi e agli indistruttibili nespoli. La biodiversità della flora e della fauna è davvero ricca e variegata: i ringraziamenti a chi conserva e manutiene  queste terre è un obbligo.

Guido Piovene, uno dei grandi scrittori vicentini (Goffredo Parise e Luigi Meneghello solo per citarne altri due) che sul finire degli anni Cinquanta dello scorso secolo, aveva raccolto in “Viaggio in Italia” una lettura non scontata dei nostri paesaggi e delle città in cui aveva colto la trasformazione del mondo agricolo sotto la spinta del “boom ” economico e dell’industrializzazione, aveva scritto di queste campagne come di un  “paesaggio-quadro, con le sue tinte più pittoriche che naturali“. Nonostante i cambiamenti, il tempo passato e qualche capannone di troppo, l’immagine dello scrittore, tutto sommato, tiene ancora oggi.

Uno scenario di colline, che se nella parte orientale mostra fianchi rocciosi, falesie e scogliere originate dalle barriere coralline, nella parte occidentale sale verso rilievi più bassi, dove le doline grandi e piccole hanno accumulato le terre rosse nate dal disfacimento dei materiali calcarei. I ricordi di un antico mare che copriva colline e altipiani è nei ritrovamenti che ad ogni scasso del terreno riemergono in superficie dopo millenni. Non c’è azienda che non abbia una propria collezione di fossili, conchiglie, pesci, ostriche o vegetali, trovate dopo gli scavi.

Qui sulla roccia calcarea, sui terreni basaltici di origine vulcanica e sulle argille rosse che compongono i suoli, nascono dei vini molti diversi da quelli della Valpolicella o del Garda o delle terre del Prosecco che così tanto caratterizzano la produzione del Veneto.

Tra i vigneti che in ogni caso non sono molto lontani da quelli di Soave e di Gambellara si alleva Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Carmenére, Merlot, Pinot Nero e il Tai ( in passato denominato Tocai Rosso ma ora la sua origine genetica è stata accertata come uguale al Cannonau), la varietà che connota l’areale. Tra le uve bianche primeggiano Chardonnay, Garganega, Manzoni Bianco, Pinot Bianco, Pinot Grigio, Sauvignon.

Complessivamente nei Colli Berici il 65% è rappresentato da uve a bacca rossa, mentre il restante 35% sono uve a bacca bianca. Nella Doc Vicenza il 52% è rosso e il 48% bianco con il Pinot Grigio (31% sul totale) seguito da Chardonnay (8%) e Sauvignon (6%).

Le due Denominazioni sono tutelate da un unico Consorzio (Colli Berici e Vicenza) a cui aderiscono 28 aziende di cui 3 cooperative, e imbottigliano poco più di 2 milioni di bottiglie, rappresentando la quasi totalità della produzione certificata.

Inama

La particolarità sta nel fatto che qui Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc sono presenti almeno dalla seconda metà del 1800, e dal 1973 sono stati anche inseriti nel disciplinare di produzione dei Colli Berici. Secondo Salvatore Mondini (Vitigni stranieri da vino-1903) nel 1870 circa, dalla versione del Conte Alvise da Schio a Costozza di Vicenza (due terzi di Cabenet, un terzo di Pinot) si otteneva “un vino finissimo”.
Più di recente gli studi effettuati sul Dna del Cabernet Franc presente in Veneto (e nei Colli Berici) hanno dimostrato che invece si tratta di Carmenére, un altra varietà bordolese poco presente nei vigneti d’oltralpe (Medoc). Prima della identificazione genetica è stato spesso confuso con il Merlot che solitamente matura un paio di settimane prima. La scoperta della sua vera natura ha permesso di rispettare i tempi della sua maturazione fenolica, dando al Carmenére una nuova statura.
Un esempio importante di nuova interpretazione e delle potenzialità di questo vitigno è la linea Carmenére dei Colli Berici dell’azienda Inama. Ne fanno parte sia il Carminium 2019, dai profumi speziati e balsamici, dal sapore elegantemente e delicatamente erbaceo, sia l’Oratorio di San Lorenzo 2017, un grande vino strutturato, ricco di profumi, vellutato in bocca, davvero intenso e piacevole.
Il Cabernet Colli Berici Bradisismo 2007, invece, è un taglio di Cabernet Sauvignon, Carmenére e Cabernet Franc, di ottima qualità. Si tratta di una vecchia annata, non disponibile in commercio, che stupisce per la freschezza, l’equilibrio, la presenza dei frutti rossi e un delizioso finale di liquirizia. Un vino che porta i suoi 16 anni di bottiglia in modo perfetto. Già perché una delle caratteristiche dei vini rossi dei Colli Berici è che reggono il tempo – invecchiano – in modo esemplare.
Durante il viaggio stampa, lo scorso maggio,  in occasione di una cena, e grazie ai buoni uffici del direttore del Consorzio di tutela dei Colli Berici e Vicenza,

Giovanni Ponchia

Giovanni Ponchia, è stata degustata una bottiglia storica –Merlot Campo del Lago 1974– dell’azienda Villa dal Ferro Lazzarini di San Germano dei Berici (ndr. oggi è di proprietà della famiglia Inama) che Gino Veronelli già negli anni Ottanta giudicava, nel Catalogo Bolaffi, uno dei più significativi vini italiani.
Aperta mediante il taglio del collo della bottiglia con delle apposite tenaglie arroventate –la stessa modalità utilizzata per le vecchie annate di Porto onde evitare lo sbriciolamento del sughero- dopo 49 anni era in perfetta forma. Man mano che nel bicchiere il vino si ossigenava i profumi di fiori appassiti ma anche i ricordi di ribes si facevano più forti mentre in bocca la suadenza per cui tanti anni fa era noto, era ancora presente. Uno straordinario esempio di longevità.

E in tutte le cantine visitate (Pegoraro, Cavazza,  Dal Maso, Piovene Porto Godi, Mattiello), le vecchie annate sono state una costante dimostrando che territori e vitigni sono in perfetta simbiosi.
Non solo rossi però, anche i vini bianchi reclamano la loro parte: su tutti Sauvignon e Pinot Bianco. Una segnalazione a parte per il Tai Bianco, da vecchie vigne di Tocai, dell’azienda Pegoraro. L’Incrocio Manzoni 6.0.13 conferma il suo potenziale di grande bianco.

Bisognerebbe solo crederci di più iniziando a trovare un nome che sia un po’ più glamour dell’attuale.
Per il resto il vino c’è, eccome se c’è.

di Andrea Gabbrielli

 

 

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Romano, giornalista e scrittore, dal 1989 è stato caporedattore della guida Vini d’Italia e dal 1992 caposervizio del mensile Gambero Rosso. Dal 1996 è libero professionista. Vincitore di vari premi giornalistici nazionali e internazionali, autore di libri e trasmissioni televisive, è giurato nei concorsi internazionali Mondial de Bruxelles e Mundus Vini.

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